lunedì 6 agosto 2012

Il giardino segreto Cap.2


         La nuova istitutrice -
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Era oramai notte fonda ma Hermione, agitata come poche volte in vita sua, si rigirava nel letto. Non riusciva a prendere sonno per via dell’imminente colloquio che quella mattina all’alba, avrebbe portato una sferzata di novità nella sua vita.
Almeno questo sperava, nel profondo del suo cuore, la giovane donna.
Respirò a bocca aperta facendo uscire tutta l’aria che aveva nei polmoni e nonostante fosse prestissimo, si alzò dal letto, tanto già sapeva che non avrebbe più preso sonno.
Si alzò lentamente accendendo il lume sul comodino, scrutando con un sorriso triste quelle mura che da ormai cinque anni l’avevano accolta. Rimembrò i momenti belli, di quando ancora bambina si recava in quella casa insieme ai suoi genitori per trovare l’anziana nonna. Ricordò ogni attimo passato con i suoi cari e rammentò, purtroppo, anche quei cinque anni di solitudine. Dove, solo le foto e quegli oggetti ricchi di polvere, le ricordavano chi fosse Hermione Jean Granger, prima di scoprire la sua natura di strega.
Scese lentamente le scale di legno giungendo nella piccola e accogliente cucina. Il cuore batteva forte quando accarezzò lo scialle nero della nonna materna, che faceva bella mostra di se appoggiato alla sua poltrona verde acqua, affianco al camino.
Sollevò lo sguardo un attimo sulla mensola sopra il caminetto, osservando di sfuggita la foto dei suoi genitori nel giorno del loro matrimonio. Le scese una lacrima quando i suoi occhi castani si soffermarono sul portaritratti vuoto. Lì, sapeva bene Hermione, c’era la foto del suo primo giorno di scuola ma lei con la magia di memoria aveva cancellato ogni ricordo di se e ora, quel portaritratti non conteneva più nulla.
Sospirò percorrendo l’intera stanza, accarezzando con i polpastrelli della mano il muro in pietra, le tende bianche, la tavola di legno massiccio. Rise, ricordando la festa del suo undicesimo compleanno quando una McGranitt, alquanto imbarazzata, dovette fronteggiarsi con sua nonna Jean per averla chiamata strega.
Quella casa era impregnata di ricordi, bellissimi ricordi, di lei bambina. Aveva lasciato quella casa e la sua vita per frequentare Hogwarts e un mondo che non l’aveva mai accettata a pieno, ma che lei, invece, aveva rapito e amato dal primo istante. Era attratta da quel magico mondo pieno di mistero e cose nuove da scoprire ma dopo la guerra e la morte in battaglia di Harry e Ron, fu più facile scappare. Ritornare a vivere tra i babbani era l’unica cosa giusta da fare, ora però era pronta per una nuova avventura nel mondo magico. Dopo cinque anni era finalmente pronta a lasciarsi il passato alle spalle ma Hermione non sapeva che presto avrebbe fatto i conti con tutto quello da cui era fuggita.
***
Alle sei in punto della mattina mentre fuori un vento gelido sferzava l’aria, una carrozza nera arrivò silenziosa davanti alla piccola casa di pietra alla periferia del paese. Il sole non era ancora sorto e una fitta coltre di nebbia celò, agli occhi di qualche mattiniero babbano, quello spettacolo. Hermione come richiamata da una forza sconosciuta, scostò le tende bianche e impallidì quando notò quattro grandi thestral dispiegare le grandi ali annusando l’aria alla ricerca di cibo.
   -         Miseriaccia – disse infilandosi in tutta fretta il capotto nero e afferrando la borsetta di perline, inseparabile amica di mille viaggi, nella quale aveva riposto la sua intera esistenza.
Quando finalmente uscì da casa, non si sorprese nel trovarsi avvolta anche lei in quella nebbia fittizia. Sorrise rammentando quale tipo di magia il padrone del calesse, avesse predisposto affinché nessuno si accorgesse di quegli strani e alquanto inquietanti animali. Un tempo erano presagio di morte, vederne uno significava aver avuto a che fare con la signora con la falce.
Così, immersa nei suoi pensieri quasi sbatté contro un alto e corpulento mago, con i capelli lunghi e neri, legati da un filo di raso blu in una lunga coda di cavallo. L’uomo la guardò un attimo esaminandola dall’alto in basso con i suoi piccoli e acquosi occhi neri, e senza nemmeno salutarla le aprì la portiera facendola accomodare dentro la carrozza. Hermione aprì la bocca estasiata, la carrozza aveva due enormi sedili di seta azzurra, soffici al tatto e molto comodi. Quando lo strano cocchiere, quasi sicuramente un mago, richiuse lo sportello andandosi a sedere davanti alla cazzotta coperta per condurre i thestral, la Granger, poté ammirare senza essere disturbata gli intagli che abbellivano l’interno del mezzo. 
Rimase incantata, da quelle rappresentazioni raffiguranti la nascita della magia e si compiacque con se stessa per aver intuito che avrebbe lavorato per un grande casato.
Deglutì sonoramente mentre finalmente i thestral si vibrarono in aria; Odiava volare e nonostante le mille avventure, quella era l’unica cosa che non era riuscita ad amare del mondo magico.
Cercò di rilassarsi un attimo, accarezzando con le mani la gonna e cercando di socchiudere gli occhi, svuotando la mente.

Il viaggio, per fortuna di Hermione, fu breve e quando la carrozza atterrò, la Granger non riuscì a trattenersi dallo sbirciare fuori dal finestrino. Si sporse un poco scostando la tenda blu, rimanendo sbalordita dallo spettacolo.
Davanti a lei si ergeva tetra l’abbazia gotico -vittoriana di Whitby Abbey.
Hermione sentì un brivido di freddo scendere lungo la schiena.
“Perché mi hanno portato qui? “ si domandò preoccupata.
Quello, infatti, era un luogo molto frequentato dai babbani che venivano attratti da quella vecchia e ormai decadente abazia un tempo abitata dai monaci, e che, si credeva, avesse ispirato il romanzo di Dracula. Sullo sfondo lo spetrale cimitero faceva bella mostra di se, inquietando ancora di più la giovane donna.
“Come si può far crescere un bambino di cinque anni in questo luogo?” Pensò stizzita Hermione.
La risposta arrivò subito dopo: “Maghi oscuri, lavorerò per odiosi e razzisti maghi oscuri.” Ormai non aveva alcun dubbio.
Osservò, attenta a non farsi vedere, il mago armeggiare davanti al cancello in ferro battuto, dove un corvo dal nero piumaggio mangiava un topo, caccia della notte appena trascorsa.
Quando finalmente il mago, con un colpo di bacchetta aprì il cancello su cui troneggiava la scritta: I segreti nel cuore, il vigore tra le mani, poi, la scena mutò lasciandola senza parole.
Il cocchiere dopo aver aperto il grande imperioso cancello nero, risalì sulla carrozza lanciando uno sguardo verso la tenda che Hermione si affretto a chiudere.
L’uomo ghignò divertito osservando la giovane, e con una frustrata condusse i thestral lungo un viale in terra battuta.
Alberi maestosi la delimitavano nascondendo agli occhi dell’ex Grifondoro ogni cosa circondasse il castello, che ora avvolto in una fitta nebbia, svettava lugubre davanti a lei.
Quando il cocchiere le aprì lo sportello facendola scendere per condurla dalla signora Whitby Abbey, la governante, Hermione si poté finalmente guardare intorno senza essere derisa;
Il castello era maestoso, quasi quanto quello di Hogwarts, e non un cumulo di macerie come l’era apparso alcuni minuti prima. Del grande cimitero non vi era più traccia, ora, al suo posto si ergeva un grande bosco con alberi verde scuro.
   -         Signorina - la richiamò il cocchiere già sulle scale diretto alla porta d’ingresso di legno d’ebano.
 Hermione si riprese immediatamente seguendo l’uomo, che dopo averla richiamata, aveva proseguito spedito verso l’ingresso del castello.
Quando questi la fece entrare invitandola ad aspettare la signora Abbey, Hermione, curiosa come poche, si guardò in giro. Il castello era un incanto: il pavimento era ricoperto da lastre di prezioso marmo bianco, alle pareti arazzi e ritratti bucolici facevano bella mostra di loro, la scala, anch’essa in marmo, svettava imperiosa raggiungendo il piano superiore, infine pregiati mobili in legno massiccio arricchivano l’arredamento.
Hermione era sbalordita da tanta ricercatezza.
” Quello si che era un castello.” Pensò.
Sentì un fruscio leggero e solo per un attimo vide una scheggia bionda correre a lungo la balaustra e nascondersi dietro una grande pianta ornamentale, che era stata posta alla fine delle scale. Sorrise osservando con la coda dell’occhio il piccolo bambino che curioso quanto lei l’osservava convinto che non lo vedesse.
Quando nell’atrio riecheggiarono dei passi, Hermione si voltò ammirando ora un’anziana strega, che con passo sicuro e cipiglio severo, avanzava nella sua direzione. Era vestita con una rigorosa veste da strega verde bottiglia, i capelli raccolti in una chignon stretto, uno scialle copriva le spalle magre. Sembrava strano ma quella donna dava un’aria alla sua cara insegnante di Trasfigurazione, la professoressa Minerva McGranitt.
   -         Lei deve essere la nuova istitutrice – disse guardandola con occhio indagatore.
Hermione si sentì sotto esame come nemmeno ai MAGO si era sentita. Mosse il capo come una scolaretta qualunque facendo arricciare il naso alla donna. sì era proprio identica alla McGranitt, ma a differenza della preside di Hogwarts a questa strega Hermione non stava affatto simpatica. Bastava osservare il modo in cui la osservava.
   -         Il suo nome?- domandò spazientita l’anziana strega.
   -         Jean... Jean Ford – mentì, non seppe nemmeno per quale ragione diede a quella donna il nome della sua defunta nonna.
Aveva deciso, nel bel mezzo della notte, che sarebbe stato giusto usare il suo nome. Ma ora, che aveva visto il castello e la spetralità che alleggiava al suo interno, rivelarsi come Hermione Granger, la strega che aveva combattuto contro Lord Voldemort non era una cosa saggia e lei, per fortuna sapeva usare il cervello. Infondo, era una Corvonero mancata sì disse, ricordando la frase che una sera accennò il vecchio capello parlante.
   -         Allora signorina Ford- disse la vecchia strega. – è stato richiesto il suo aiuto per istruire il signorino Scorpius -.
Hermione annuì mentre la signora Whitby Abbey la conduceva in un’ampia sala, sicuramente il suo studio.
   -         Il signorino, è l’erede di un antichissimo casato-
Hermione attese con il fiato sospeso ma la donna non rivelò mai il cognome del piccolo.
   -         Deve istruirlo e imporre delle regole ferree, Scorpius tende a disubbidire inoltre e cocciuto e vendicativo. L’essere cresciuto con i nonni paterni non ha contribuito alla sua educazione, quelli l’hanno viziato e coccolato cercando di sopperire ai danni che hanno arrecato al loro unico figlio- Hermione, incamerò quelle informazioni, - la tragica morte di sua madre, poi, non ha fatto altro che accrescere il suo fastidio verso gli atri -.
   -         Perché?- Chiese curiosa.
   -         Questo non è affare suo- le disse la strega, rimettendola al suo posto e smorzando con un’occhiata gelida la sua curiosità.
   -         Le ricordo che oltre a istruire il signorino, insegnandoli le basi della lettura e della scrittura, deve intraprendere con lui un primo corso di magia-
   -         Ma è contro...- cercò di ribattere Hermione, ora seduta davanti alla donna nell’enorme studio affrescato.
   -         Pozioni, Incantesimi e Trasfigurazione , le basi – aggiunse. – se mai suo padre verrà a trovarlo- finì la strega guardandola con i suoi grandi occhi verdi.
Hermione si ghiacciò, il bambino avrebbe vissuto in quel tenebroso castello da solo. L’avevano strappato dall’amore dei nonni, che da quanto aveva capito l’avevano cresciuto, la madre era misteriosamente morta e suo padre affidava a una perfetta sconosciuta la sua istruzione culturale e magica.
Non si era nemmeno preso la briga di venire a conoscerla. Che padre era uno che lasciava suo figlio di cinque anni da solo, senza amore e affetto.
“Uno stronzo purosangue” sì rispose Hermione.
“Passano le guerre ma loro, maghi con la puzza sotto il naso e il cuore di ghiaccio, non cambiano mai.”
- Scorpius dovrà saper padroneggiare la magia- disse ancora una volta Whitby Abbey, ridestandola dai suoi pensieri.
- Sì- rispose Hermione.
La vecchia strega sorrise soddisfatta. La nuova istitutrice, benché non apparisse perfetta di aspetto sembrava abbastanza sveglia. Sarebbe stata perfetta per il piccolo Malfoy, suo padre Draco, l’avrebbe sicuramente ricoperta di complimenti se quella strega che ora la guardava in attesa di notizie avrebbe svolto appieno i suoi doveri.
   -         Bene – rispose compiaciuta la vecchia strega. – starà in prova per una settimana, se sarò soddisfatta e il signorino non l’avrà uccisa nel sonno – Hermione impallidì - potrà ottenere il lavoro- .
   -         Ora – disse suonando un sonaglio – Marcus l’accompagnerà nelle sue stanze -.
   -         Buona giornata – disse Hermione, alzandosi dalla poltrona dove era stata fatta accomodare.
Seguì Marcus il cocchiere e all’occorrenza maggiordomo, nell’ala del castello riservata alla servitù. L’uomo non le rivolse mai la parola fino a quando, davanti a una porta rossa, le consegnò le chiavi.
   -         La colazione è alle sette nelle cucine – disse senza nemmeno guardarla. – alle nove inizierai le tue mansioni nella grande biblioteca al secondo piano. Il pranzo per noi del personale, avrà luogo subito dopo quello del signorino e della signora Abbey. Alle diciannove sarà servita la cena – Marcus il maggiordomo finì di comunicare tutte quelle preziose  informazioni e dopo, senza nemmeno salutare, sparì nel buio che avvolgeva l’andito.
Hermione lo guardò scomparire, e quando capì che ormai era rimasta sola si decise a entrare nella sua nuova stanza. Aprì piano la porta , l’odore di stantio arrivò immediato alle sue narici. Trattenne il respiro e con l’aiuto della luce prodotta dalla bacchetta, arrivò fino alla piccola finestra . Scostò le tende e aprì, immergendo la stanza di luce e aria pulita, guardandosi intorno.
La stanza era minuscola: Un piccolo letto stava al centro della stanza occupandola quasi per intero; Appoggiato al muro, alla sinistra del letto, stava una scrivania con una sedia sopra di esso facevano bella mostra due mensole vuote.
Hermione costatò che quelle misere mensole, non sarebbero riuscite a contenere nemmeno un quarto dei suoi libri. Così, con un sorriso divertito sul viso, ampliò la stanza con un banale incantesimo allargante e infine tolse, dall’inseparabile borsetta di perline, la sua libreria.
Levò con un rapido gesto della bacchetta le lenzuola di cotone, ruvide e vecchie mettendo quelle che tanto tempo prima sua nonna aveva ricamato apposta per lei. Appese i suoi abiti nell’armadio accanto al piccolo bagno e infine, attaccò le foto che ritraevano i suoi cari.
“Ora”, si disse “quella poteva chiamarsi stanza” e soddisfatta di se stessa, si distese nel letto.
Erano le sette e mezzo aveva ancora un ora e mezza per rilassarsi prima di conoscere il suo allievo.
***
Quella mattina Draco Malfoy si alzò male, scostò con malagrazia la sua amante scendendo dal letto, rimproverò i suoi fedeli elfi domestici per un tè troppo caldo e dei biscotti troppo friabili e infine, maledì sua madre che aveva scomodato perfino la stampa per ricordargli quanto era inadeguato come genitore.
Il mal di testa fu immediato e l’ira, una conseguenza, a farne le spese fu come sempre il suo segretario che si ritrovò letteralmente ricoperto da unguento di carruba e rabarbaro. Quello era uno degli ultimi ricercati preparati che la sua mente eccelsa avevano creato per l’accrescimento della memoria, che gli era avvalso uno dei più grandi riconoscimenti magici.
Draco ne era soddisfatto, il giorno dopo si sarebbe recato a Vienna per ricevere la targa in argento, ma in quel momento nulla al mondo lo faceva gioire.
   -         Tesoro – disse Daphne entrando nel laboratorio e osservando con malcelato disgusto Alfred, il segretario di Draco, alle prese con l’unguento.
Draco odiava vederla trafficare nel laboratorio, quello era il suo regno e Daphne aveva già messo le mani su troppe cose di sua proprietà.
   -         Che ci fai qui giù?- chiese senza alcun riguardo.
La bionda smosse i capelli e sorrise lievemente mentre con una mano accarezzava il suo abito a fiori azzurri identici al colore dei suoi occhi.
Era bella Daphne e sapeva come ammaliare un uomo e fargli fare ciò che voleva e lei in quel preciso momento voleva far impazzire Draco Malfoy.
  -         Sono qui per darti il bacio del buongiorno- rispose suadente, mentre Alfred scattò lontano non appena sentì la donna dire quella frase.
Daphne rise di gusto osservando l’imbarazzato segretario di Draco uscire di corsa dal laboratorio.
  -         Non sei affatto divertente- la riprese. La donna lo guardò un attimo prima di avvicinarsi a lui strofinandosi come una gatta.
  -         Daphne non ne ho voglia!- disse, ma il suo corpo già lo tradiva e Daphne da donna esperta se n’era accorta.
Baciò il suo collo, sbottonò la camicia accarezzò le sue spalle.
  -         Non vedo l’ora di essere a Vienna. Potremmo andare in quel ristorantino...- disse la donna con tono basso e ammiccante.
  -         Tu non verrai- disse Draco staccandosi da lei. Daphne aprì la bocca spiazzata da quell’affermazione.
  -         Come?- domandò in un sussurro stridulo.
  -         Non ti voglio- le disse con tono gelido, il suo solito tono.
Draco Malfoy negli anni non era cambiato. Le donne erano solo un ornamento da esibire nelle occasioni importanti, Daphne, benché fosse convinta di essere l’unica, non faceva eccezione.
  -         Chi ti porti? – urlò livida. Draco la spinse lontano osservando l’animosità che ora s’intravedeva nella fredda e calcolatrice cognata. Aveva lavorato per farlo cadere nella sua tela, imprigionandolo in un rapporto talmente assurdo  e marcio che riusciva a farlo vergognare.
“Un Malfoy non si vergognava di nulla”.
Quel rapporto di sesso con sua cognata aveva fatto storcere molti nasi, tra l’élite magica tra cui quello di sua madre, che non faceva altro che rimarcare l’inadeguatezza di Daphne”
  -         Chi mi porto Daphne non è affare tuo- sbiaccicò acido assottigliando i suoi magnetici occhi color del ghiaccio. -Ti ricordo che non hai l’esclusiva per stare nel mio letto -.
Daphne strinse le labbra oltraggiata per quelle parole.
Draco non se ne curò affatto, infondo non aveva mentito: non amava quella donna, si beava solamente delle sue grazie, e benché lei ci sperasse, non l’avrebbe mai sposata.
Non si sarebbe mai più sposato.
  -         Per me non sei nessuno – le ricordò con cattiveria.
  -         Sei uno stronzo Malfoy- le disse la Greengrass uscendo dal laboratorio come una banshee.
Quel giorno i due non s’incontrarono mai Daphne si ritirò nelle sue stanze aspettando delle scuse che Draco non aveva alcuna intenzione di farle.
“ Me la pagherai Draco, Non sai contro chi ti stai mettendo” sì disse Daphne regalandosi un bagno caldo per rilassare i nervi.
Draco, invece, si concesse una serata di puro divertimento con i suoi vecchi amici Theodor Nott, in suo avvocato e Blaise Zabini in famoso giocatore di quiddich tornato per alcuni giorni in Gran Bretagna.
L’alcol e le donnine accondiscendenti fecero dimenticare per una notte al giovane e famoso pozionista, le sue negligenze come padre e le mille paranoie che sua madre Narcissa, con la sua lettera ai giornali, aveva risvegliato in lui.
Avrebbe dovuto risponderle in privato tramite il suo avvocato, per ricordarle in modo definitivo che Scorpius era suo figlio e che lei non aveva alcuna voce in capitolo, ma a quello Draco non volle pensare.  Un’affasciante donna dai lunghi capelli castani in abiti, notevolmente succinti, le si strusciava sopra vogliosa di approfondire quel contatto tra i loro corpi. Malfoy non si fece pregare, facendo finalmente godere la donna sotto di se e cancellando in un attimo ogni nefasto pensiero.

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